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IL DECRETO SULLA TERRA DEI FUOCHI (DLGS. N.136 DEL 2013, COME CONVERTITO IN LEGGE). OSSERVAZIONI DELLA FEDERCONSUMATORI CAMPANIA

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Come ogni giurista ben sa, la norma non è un mero dato letterale ma la regola che dallo stesso promana. Essa ne rappresenta la ratio, lo spirito espressivo dei diversi interessi in gioco compendiati nella regola. Al riguardo, non v'è dubbio alcuno, alla lettura del decreto, nella sua originaria versione, che l'interesse principale tutelato dal governo decreto è prettamente economico. Basta leggere le considerazioni introduttive al decreto, ove si legge che la "sicurezza della continuità del funzionamento produttivo di stabilimenti d'interesse strategico costituisce una priorità di carattere nazionale, ......". Vale a dire che il diritto alla salute è trattato solo secondariamente, nella misura in cui possa mettere a repentaglio la grande produzione, intendendo solo selezionare le aree dove avviare, in alternativa a quelle per alimenti, le produzioni "no food". Vale a dire che innanzi ad una area produttiva di grande importanza per l'intero paese e per le grandi aziende, si è scelto di dare certezze ai mercati. Nel futuro grande affare delle aree di produzione "no food", in sede di conversione, viene introdotto lo strumento del "contratto istituzionale di sviluppo", che vedrebbe peraltro come protagonista un soggetto esterno alla Regione Campania, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo, società per azioni di diritto privato della cui partecipazione non vi era il minimo bisogno. Si fa altresì rilevare che tutta la complessa procedura di mappatura dei terreni finisce per tradursi in una trasposizione normativa di attività che già rientrava nelle competenze dei singoli enti interessati con disposizioni in parte davvero discutibili. Ad esempio, mentre si prefigura una produzione no food fondata su sistemi naturali rigenerativi (Canapa?) la determinazione degli strumenti di bonifica viene demandata ad un successivo regolamento, sentita la conferenza unificata Stato regioni. Stupisce che in relazione a questioni che dovrebbero essere di carattere strettamente tecnico, si sia sentito il bisogno di rimettere l'approvazione del regolamento alla valutazione, ovviamente politica ed economica, alle altre regioni.
Particolare attenzione viene poi posta in sede di conversione (all'art.1 comma 6 sexies) all'individuazione, con apposito regolamento, dei parametri di qualità destinate all'uso irriguo su culture alimentari e relative modalità di verifica. Ci si augura che ciò non rappresenti un ulteriore lungaggine interposta alla mappatura delle aree coltivabili e che un dato tecnico, quale la qualità dell'acqua, non finisca "contaminato" da interessi politici ed economici. Preoccupa infatti, e non poco, che il Ministero della Salute non è menzionato tra le autorità preposte all'emanazione del regolamento, stigmatizzando che la questione è rimessa ad interessi di carattere produttivo. Ma non si può ritenere accettabile che, dopo aver inquinato per decenni, possa ora derogarsi a dei livelli minimi qualitativi dell'acqua sanciti da richiami normativi nazionali e comunitari senza valutazione delle implicazioni sanitarie.
*****
Ne consegue che l'animus del legislatore non è minimamente in sintonia con le preoccupazioni e lo sdegno che hanno alimentato l'impegno attivo della cittadinanza nella delicatissima questione dello smaltimento illecito che ha sommerso la nostra regione. Né del resto tale animus è in sintonia con quanto manifestato dalla Commissione Bicamerale sin dal 1997, ove, nella relazione finale, si afferma espressamente che le bonifiche erano il risarcimento minimo per la nostra regione e che gli studi epidemiologici sulla popolazione erano un imperativo. Non v'è dubbio che in oltre un ventennio nel quale nessun autorità, a livello nazionale e regionale, ha inteso spendersi su tali tematiche vi sia insita una precisa scelta politica, figlia della subordinazione, anche economica, del meridione d'Italia alle scelte ed agli interessi di altre aree geografiche: il sacrificio di vastissime aree della Campania per consentire alla produzione nazionale di reggere la competizione globale. Al disvelarsi dell' ovvio, ovvero della totale devastazione ambientale arrecata, si è giunti solo quando, oramai, vi era ben poco da poter ancora inquinare. Quindi a giochi fatti, quando però ancora si negano le altrettanto ovvie e drammatiche conseguenze sanitarie. In coerenza con tale non modificato quadro politico, l'esecutivo ha trattato la questione salute solo nelle sue implicazioni economiche di carattere nazionale. Ma la salute dei cittadini campani, ancora una volta, non è trattata nel decreto come la questione primaria di carattere nazionale alla quale porre immediato rimedio. Se il diritto alla salute dei cittadini della regione Campania doveva essere così svilito nell'aggiunta del comma 4 quater all'art.2, tanto valeva lasciare il decreto nella sua chiara formulazione iniziale, demandando ad altro decreto una sua compiuta regolamentazione da parte dello Stato. Ed, infatti, l'art.2 comma 4 quater del decreto si limita a predisporre un programma di screening che:
1) non è, in senso tecnico, uno studio epidemiologico,
2) è previsto solo ed esclusivamente per le aree oggetto dello smaltimento dei rifiuti nelle aree agricole interessate dalla mappatura;
3) è subordinato ad un budget economico assolutamente ridotto in relazione alla popolazione coinvolta;
4) è subordinato alla futura determinazione di modalità di monitoraggio ancora non precisate.
Ne consegue che a fronte di una condizione emergenziale che richiedeva un impegno massimale ed immediato su aree assai vaste, lo Stato centrale continua attraverso i suoi atti a non riconoscere e preoccuparsi delle implicazioni sanitarie connesse allo scempio ambientale che la Regione Campania ha subito. Questo è il messaggio politico, prima che giuridico, al quale bisogna far fronte con le opportune iniziative.

 

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